
Era da tempo che desideravo esplorare un luogo della nostra amata catena montuosa di cui in molti mi avevano parlato: il sito dell’incidente dell’F 104 su Costa Viola. Avevo visto alcune foto e ci ero andato molto vicino, anche senza saperlo.
Alla fine, viste le previsioni meteo, abbiamo organizzato un piccolo gruppo di due famiglie, con relativi bambini in un gradevole sabato autunnale: date le caratteristiche del cammino, e considerata comunque la sua bellezza e le piccole, grandi meraviglie da ammirare, ero fiducioso che l’escursione potesse rappresentare una piccola, interessante escursione sul versante itrano di Monte Viola. E così è stato!
Siamo partiti dal rifugio del Parco dei Monti Aurunci di Tozze, per il sentiero n. 958, che porta alla vetta di Monte Viola. Dopo il breve tratto di sterrata, si entra immediatamente in uno scenario di atmosfere fantasy, con lecci e roverelle che nascondono il cammino, dietro angoli di rocce e di controluce che fanno presagire scoperte e sognare a occhi aperti: del resto, questa è la norma sui Monti Aurunci! Superato l’incrocio con il 920, che sale a Monte Ruazzo, e con il 951, per Forcella di Campello, si entra in un bellissimo bosco in cui i lecci si trasformano in roverelle, poi in bosco misto, poi in faggi. Il dislivello sale dolcemente; si incontra qualche albero caduto, si ammira l’autunno che sta quasi per entrare nella foresta, per poi giungere a un piccolo spiazzo.
Qui facciamo una prima deviazione dal sentiero, dirigendoci verso la sua sinistra, superando una pozza di fanghiglia dove il bestiame al pascolo è solito rotolarsi per rinfrescarsi (ma immagino la cosa interessi anche cinghiali ed altri animali selvatici). Pochi metri dopo un grande albero sradicato e coricato a terra, ecco un primo pozzo della neve: si vede chiaramente il cerchio di pietre, probabilmente costruito assecondando l’avvallamento prodotto da una dolina naturale.



Torniamo sul sentiero e, dopo un breve strappo in salita, ci troviamo davanti una vera e propria meraviglia: stavolta, a differenza del precedente, il pozzo della neve è in perfette condizioni, di dimensioni enormi e di un impatto visivo impressionante! E’ intatta perfino la scalinata che, come una discesa a chiocciola, con gradini in pietra che fuoriescono dal muro a secco, raggiunge il fondo, coperto di foglie secche.
Ma che funzioni aveva un “pozzo della neve”? Risalgono all’epoca in cui i frigoriferi erano di là da venire, e la raccolta della neve veniva effettuata per la produzione e la vendita del ghiaccio: alcune ditte appaltatrici si facevano carico, durante i mesi più freddi, di raccogliere la neve e di ammassarla nei pozzi, dove, a forza di piedi, la stessa veniva ridotta in poltiglia. La sua trasformazione in ghiaccio avveniva grazie alle foglie secche di faggio, che andavano a ricoprire i pozzi: il ghiaccio veniva quindi scoperto e tagliato in blocchi nei mesi di giugno e luglio, per essere trasportato a valle con l’ausilio di animali da soma e venduto presso i centri costieri di Gaeta, Formia e Scauri.



Continuiamo l’esplorazione alla ricerca dei resti dell’aereo caduto. Salgo verso Sella Viola lungo il sentiero, ma mi accorgo ad un certo punto che sto andando troppo in alto. Ridiscendo quindi fuori sentiero e devo vagare un pochino per trovare i resti dell’aereo, accorgendomi che sono situati più in basso. Riesco a localizzare una placca commemorativa con la bandiera italiana collocata tra alcuni rottami: una sorta di altarino, che è stato collocato nel 2019 da associazioni del luogo come commemorazione del tragico evento, dopo 35 anni. Torno dal gruppo e scopro che Giove, che nel frattempo si era mosso più in basso, ha trovato altri resti. Ci spostiamo quindi tutti, fuori sentiero, alla ricerca dei reperti: il luogo è inizialmente scosceso, ma ci accorgiamo che gran parte dei rottami si trova in basso, alle spalle della prima neviera. Il luogo è bellissimo, nel cuore della faggeta di Costa Viola, eppure man mano che troviamo i resti del caccia la tristezza si impadronisce di noi: l’area su cui sono sparsi i rottami è amplissima. Ci viene da pensare a come deve essersi sentito quel ragazzo, Pasquale Pezzullo, pochi istanti prima dell’impatto, quando il fianco della montagna gli venne improvvisamente rivelato dalla nebbia, dandogli la consapevolezza che stava per succedere il peggio. Troviamo un sacco di resti, sparsi su una superficie di varie migliaia di metri quadri.
Torniamo sui nostri passi, trovandoci di fronte proprio il primo pozzo della neve e la pozzanghera di fango lambita dal sentiero 958. La foresta assorbe le sensazioni negative e torniamo verso casa con nuovi ricordi dentro di noi: la soddisfazione per tutto ciò che di bello abbiamo visto si mischia alla tristezza per il destino riservato a quel giovane pilota, al quale abbiamo lasciato i nostri pensieri. Un altro angolo di Aurunci ci è stato svelato, e ce lo porteremo nel cuore, come tutti gli altri.